Durata
10 Marzo 2016
LE VEGLIE DI NERI di Renato Fucini
Quando una persona espone a voce o per iscritto, per lo più con intonazione familiare, uno o più fatti, veri o inventati, che abbiano carattere di continuità, si dice che racconta.
Il racconto si dà nella sua completezza comunicativa quando ad ascoltare c’è almeno una persona.
Tra chi racconta e chi ascolta s’instaura un nesso di comunicazione: questo nesso è la base del teatro, il suo nucleo intimo e attivo. Massimo Grigò, raccontando Renato Fucini, pone l’accento sul teatro come lingua di relazione, di scambio, di interazione emotiva. L’attore analizza l’atto stesso del narrare confrontandosi con Renato Fucini, la cui lingua è patrimonio comune a quella degli spettatori.
Lo spettacolo è una rievocazione delle veglie che si tenevano in terra di Toscana prima che l’esecrabile avvento della televisione costringesse gli abitanti dei molti e ridenti paesi di questa regione a stare chiusi in casa dinanzi al teleschermo…in silenzio.
Lo spettacolo, della durata di un’ora circa, è così strutturato: introduzione dell’attore riguardante alcuni cenni biografici su Renato Fucini e il suo mondo fatto di cacciatori, preti crapuloni, medici dalla dubbia professionalità, pettegole di paese e altri, con tutto un contorno di rivalità, invidie e maldicenze argute che costituiscono il DNA di ogni toscano (di ieri,di oggi ,di domani…). Delle “Veglie di Neri” sono state scelte quelle a carattere prettamente comico tralasciando le altre che narrano, quasi in stile verista, di disgrazie, di malattie e malaria, di miseria ed emigrazione… Pertanto, nei racconti scelti, si narra di campagne assolate, di tramonti autunnali, di vigne, di cipressi, di olivi, di cacciate nel padule, di racconti “al canto del foo”, di arrosti, di vini e ballotte.
La società che il Fucini rappresenta nelle Veglie, non è quella industriale, cittadina o metropolitana, ma è una “geografia” locale fatta di paesi: una specie di Far West etrusco dove troviamo i derelitti e i poveri, i matti e i signori, le signorine invecchiate con “le ‘arze attaccate alle porpe”, i contadini, i barrocciai, il piovano e lo speziale.
Le veglie in totale sono 3 di una durata variabile dai 9 ai 14 minuti.
Tra una veglia e l’altra vengono letti alcuni sonetti tratti dalla raccolta “Cento sonetti in vernacolo pisano” tutti a carattere comico e con forti agganci all’attualità.
Il tutto viene commentato (…si spera in maniera altrettanto arguta e sagace…) dall’attore.
E’ uno spettacolo di affabulazione che permette di conoscere un autore troppo spesso liquidato dalla critica letteraria di inizio secolo come bozzettistico e “macchiaiolo”.
La prima rappresentazione è stata fatta a Castiglioncello all’interno della rassegna “Le veglie al canto del camino” che si è svolta nella Sala Matrimoni del castello Pasquini il 16 Marzo 2003. Lo spettacolo ha partecipato al Festival di Radicandoli diretto da Nico Garrone. E’ stato inserito nella stagione teatrale del Teatro Manzoni di Pistoia,del Teatro Eden di Casalguidi, del Teatro Verdi di Pisa, del Teatro del Sale di Firenze, del Teatro dei Favolanti di Forte dei Marmi e del VIPERtheatre di Firenze.
Dopo il diploma alla Bottega teatrale di Firenze diretta da Vittorio Gassman e dopo essersi specializzato con insegnati come Bruno De Franceschi, Vincenzo Cerami, Nicola Piovani e Maurizio Balò, dal 1988, anno del suo debutto, si è dedicato quasi esclusivamente al teatro seguendo due distinti percorsi che, in alcuni casi, si sono intrecciati.
Il primo si è sviluppato nell’ ambito del teatro di ricerca, “Dramma per pazzi” di Gordon Craig regia Gianfranco Pedullà rappresenta il suo debutto; poi incontra Remondi e Caporossi con cui ha lavorato continuamente per sei anni e successivamente entra a far parte della compagnia Lombardi-Tiezzi con cui realizza “Scene di Amleto” (progetto triennale), “Arcadia” di Tom Stoppard per Radio Rai , “Amleto”, “Antigone di Soflocle” di B. Brecht.
Con Barbara Nativi ha preso parte allo spettacolo “Carezze” di S. Belbel e a varie edizioni di Intercity Festival.
Recentemente ha lavorato ne “La Tempesta” , “Opus Florentium” – testo di Mario Luzi- , “After Juliet” di S.MacDonald per Radio Rai, “Un poeta in fuga” di R. Carifi per la regia di Giancarlo Cauteruccio.
Il secondo percorso è maturato dall’ incontro con Angelo Savelli e i suoi lavori sul recupero e la valorizzazione della cultura e della lingua della tradizione toscana ( Machiavelli, Aretino, Boccaccio, Emma Perodi, Augusto Novelli).
In questo percorso importanti sono stati le collaborazioni con Ugo Chiti e l’ Arca Azzurra (“Allegretto per bene… ma non troppo”) e artisti del calibro di Marisa Fabbri e Carlo Monni in “Gallina vecchia” , e Giovanni Nannini ne “La Mandragola” regia Giampiero Solari.
Con Monni si è creato un connubio artistico che ha portato alla realizzazione di vari spettacoli. Esperienze importanti sono state anche quelle nell’ ambito del teatro musicale per la regia di Angelo Savelli: “La danze delle libellule” di Lehar e “Il ritorno del turco in Italia” da Rossini.
Nel cinema ha lavorato con i fratelli Taviani in “Fiorile” e “Le affinità elettive” e con Salvatore Samperi nel film-tv “Madame”.
Ha partecipato alla Biennale di Venezia, con lo spettacolo “La vedova scaltra” con la regia di Lina Wertmuller, con il quale è stato in tournee per 2 anni. Con Roberto Valerio (regista e attore) ha lavorato nel “Il Vantone” di Pier Paolo Pasolini, e ne “L’impresario delle Smirne “ di Carlo Goldoni. Nel marzo 2011 ha debuttato con Lucia Poli in uno spettacolo tratto dal libro “Cuore” per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. In “Attaccante nato” (storia di Stefano Borgonovo) è stato diretto da Andrea Bruno Savelli.
Ha recitato inoltre a fianco di grandi nomi come Sandro Lombardi, Milena Vukotich, Domenique Sanda, Isabelle Huppert, Fabrizio Bentivoglio, Anna Bonaiuto, Jean Hughes Anglade, Raffaella Azim.
Ha lavorato in Turchia (Istanbul, Ankara), in Polonia (Cracovia), in Lituania (Vilnius), in Serbia (Belgrado, Vrsac, Nis, Kragujevac), ed ha partecipato alle celebrazioni per i 50 anni dalla morte di Brecht recitando al Berliner Ensamble, il teatro fondato dal drammaturgo tedesco a Berlino.
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Renato Fucini (Monterotondo Marittimo, 8 aprile 1843 – Empoli, 25 febbraio 1921) è stato un poeta e scrittore italiano, noto anche con lo pseudonimo e anagramma di Neri Tanfucio.
Dopo aver trascorso gli anni della fanciullezza a Campiglia Marittima, in Maremma, difficoltà finanziarie spinsero la famiglia a ritirarsi nell'abitazione avita di Dianella. In seguito, quando il padre, medico, ottenne la condotta a Vinci, Renato poté studiare privatamente a Empoli.
Nel 1863 si laureò in Agraria all'Università di Pisa, dopo aver lasciato gli studi di Medicina, e iniziò a lavorare come aiuto nello studio tecnico di un ingegnere fiorentino. Nello stesso periodo cominciò a frequentare uno storico locale, oggi scomparso, il Caffè dei Risorti, dove, prendendo spunto da vari episodi tragicomici narrati da alcuni frequentatori, iniziò a comporre sonetti.
Grazie a questi componimenti cominciò a farsi conoscere come poeta e nel 1871 uscirono i suoi "Cento sonetti in vernacolo pisano". Esordì come prosatore nel 1877 con un reportage su Napoli ("Napoli a occhio nudo: Lettere ad un amico"). In seguito al successo letterario, si dedicò all'insegnamento, diventando professore di Belle Lettere a Pistoia e successivamente ispettore scolastico. A quest'ultima attività sono legate le novelle della raccolta "Le veglie di Neri" (1882), ambientate prevalentemente in Maremma; come pure le successive raccolte "All'aria aperta" e "Nella campagna toscana". I motivi prediletti sono quelli della vita agreste nelle zone che Fucini conosceva meglio: la Maremma e i borghi dell'Appennino pistoiese.
Renato Fucini, inoltre, dedicò a Giacomo Puccini una poesia per la prima dell'opera Madama Butterfly (1904); il testo della poesia si trova nella villa Puccini, a Torre del Lago.
Puccini, a sua volta, musicò due poesie di Fucini: E l'uccellino, dedicata a un bambino, e Avanti Urania, composta per il varo di unpiroscafo.
Dopo aver lavorato alcuni anni presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, nel 1906 fu messo in pensione, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita tra la residenza di Dianella e quella di Castiglioncello, intrattenendo fitti e stretti legami con amici ed ex colleghi. Nel 1916 venne eletto socio dell'Accademia della Crusca. La morte lo colse il 25 febbraio del 1921.